Le note di sala dell'ottavo concerto di stagione dell'Orchestra Rai

Le note di sala dell'ottavo concerto di stagione dell'Orchestra Rai

Leone Sinigaglia, Pëtr Il'ič Čajkovskij, Camille Saint-Saëns

Le note di sala dell'ottavo concerto di stagione dell'Orchestra Rai
Leone Sinigaglia
Le Baruffe Chiozzotte, Ouverture op. 32

A Leone Sinigaglia sembra oggi non esser accordata neanche una presenza nei libri di storia sufficiente a farne qualcosa di più di un Carneade fra i minori. Valutazione che in vita per la verità non sembra essergli toccata, visto che a eseguire le sue musiche furono interpreti del calibro di Toscanini, che gli fu amico e diresse e incise in disco quell’ouverture Le Baruffe Chiozzotte del 1907, vivacissima ed estrosa, che a suo tempo lo rese abbastanza famoso, e di Wilhelm Furtwängler. La sua figura fu sempre circondata da un grande rispetto: si riconoscevano una cultura ampia e cosmopolita, che gli aveva reso particolarmente familiari i paesi di lingua tedesca (al tempo dei suoi studi viennesi anche a lui capitò di essere in rapporti cordiali con Brahms), e un’identità di musicista solido e raffinato al tempo stesso.
Alternò la composizione classicamente intesa, messa in atto in termini tali da garantirgli pieno diritto di cittadinanza nel contesto europeo del suo tempo, con notevole attenzione al quartetto e alla musica sinfonica, con una ricerca sul canto popolare sfociata in numerose raccolte un tempo assai diffuse
Un gran signore nella musica e nella vita, alpinista appassionato, esponente fra i più ammirevoli di quella borghesia ebraica che fu il lievito della vita intellettuale e civile torinese fra Otto e Novecento, travolto in vecchiaia dalle leggi razziali del fascismo finché nel 1944 la morte, sicuramente causata dall’emozione, lo colse al momento dell’arresto che avrebbe dovuto preludere alla sua deportazione.

Pëtr Il'ič Čajkovskij (1840-1893)
Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra, op. 33 (1876)

Di fronte alla popolarita pletorica dei suoi concerti per violino e per pianoforte, il cammeo delle Variazioni su un tema rococò ha sempre fatto la figura della bigiotteria. E invece non e cosa da poco sapere che e assolutamente inutile cercare nel catalogo di Holzhauer, Stamitz o Monn il tema delle Variazioni. Anche se è rococò, l'ha scritto lui. Con queste Variazioni l'Ottocento scopre anche in Russia la voglia matta di crinoline e tricorni. Con il loro Settecento ritrovato, anche Cajkovskij partecipa all'inseminazione del neoclassicismo. Un rovello estetico che, dal Settimino per tromba, pianoforte e archi di Saint-Saens conduce in pochi anni e senza scosse al Menuet antique di Ravel e all'era asciutta e croccante dei neoclavicembalisti francesi: una vena azzurrognola che percorre sottopelle le braccia dei decenni fra i due secoli, e che arriva già adulta alla fine della Grande Guerra, quando il suo gioco di finzioni e di maschere resta l'unica voce possibile in un mondo che ha distrutto con le trincee e con le armi chimiche la propria capa­ cita di raccontare se stesso, le proprie visioni e i propri orrori.

Le Variazioni sono presentate alla Società Russa di Musica di Mosca il 30 novembre 1877, solista Wilhelm Fitzenhagen, direttore Nikolaj Rubinstein. Il Settecento immaginario qui è dappertutto. Nell'orche­stra senza trombe e timpani, con legni e corni a due. Nel melos del tema e nell'ésprit de géométrie della sintassi. Nella tecnica usata per variarlo, con trine ornamentali di stampo belcantistico che non c'en­trano nulla con le permutazioni strutturali di Brahms ma sfoggiano lo stesso, brillante virtuosismo delle variazioni strumentali di Gioachino Rossini. I siparietti e controcanti dei fiati, che esplodono petulanti e improvvisi, scortano e s'insinuano nelle linee del solista anticipando le traslucide sonorita neomozartiane del vecchio Strauss: quelle del Concerto per oboe e del secondo Concerto per corno.

Per trarre dalla tecnica strumentale l'effetto più brillante possibile, Cajkovskij lascia fare Fitzenhagen al punto che nell'autografo la parte del violoncello e quasi tutta di mano sua. La cosa attira lo sfottò dell'editore mentre prepara la riduzione con pianoforte («Buon Dio! Cajkovskij revu et corrige par Fitzenhagen!») e genera parecchi dissa­pori sull'assetto definitivo del brano. Ma ciò non toglie che la disposi­zione delle otto variazioni resti tuttora quella stabilita nel 1878 da Fitzenhagen, con l' elaborata cadenza incastonata fra la quinta e la sesta in modo minore, che nella versione di Cajkovskij era al terzo posto. Però sul riservare alla fine lo sfavillio vorticoso e inesauribile della coda, autore e solista si sono trovati naturalmente d'accordo.

Camille Saint-Saëns (1835-1921)
Sinfonia n. 3 in do minore, op. 78 
Sinfonia per organo (1886)

La "Legion d'honneur", una statua eretta mentre era ancora vivente (come le ebbe anche Verdi), il dot­torato "honoris causa" a Cambridge, successi inter­nazionali come concertista di pianoforte e d'organo (suonò anche a Milano nel 1879, per il "Quartetto", e trovò scadente l'organo di allora), un'opera (Samson et Dalila) nel massimo repertorio di tutto il mondo, mu­siche strumentali eseguite dappertutto: ecco, in sun­to, la celebrità di Camille Saint-Saëns, ben più vasta dei confini francesi. E' il caso di aggiungervi certi trat­ti abbastanza faceti: abilissimo neI fare musica da bur­la (compreso l'imitar una certa cantante che "cresce­ va" sempre tutto: difficilissimo), attento nel diffondere la musica contemporanea finché questa non varcò le soglie del Novecento, non meno attento a combatte­re quella che diventò contemporanea dopo (alla "pri­ma" del Sacre du printemps di Stravinsky ribatté sec­co: "Non è vero!" quando, a sua domanda, gli si disse che le prime note, non poi più acute di quelle che lui stesso aveva scritto all'inizio del Sansone, erano suo­nate di un fagotto). Di Saint-Saëns si disse che "scris­se troppo" e dev'essere vero; ma da questo a gabel­larlo per "musicista inutile" (N.B.:insieme a Mendels­sohn) ci corre.

Francese nutrito di elementi tedeschi (dai classici ai romantici a Wagner), l'eclettico Saint-Saëns riuscì ugualmente ad essere personale; temperò i bollori pianistici di Liszt, da lui molto ammirato, con un nito­re di stampo classico; precorse il neoclassicismo del Novecento con l'umoristico Carnaval des animaux per due pianoforti e undici strumenti (però lo ritenne una burla fatta per il martedì grasso, e proibì che si eseguisse in pubblico lui vivente); sfoggiò una sicu­rezza di scrittura eccezionale e esibì un piacere del­ la materia sonorache andava oltre le idee oratorie del tardo Ottocento.

Una prova quanto mai completa delle sue qualità è la Terza sintonia op. 78. Di sinfonie, Saint-Saens ne compose cinque, di cui la primaa diciotto anni; ma ne gettò nel cestino due; rimangono in repertorio oggi la Seconda in la minore op.55 (1878), curioso e gusto­so lavoro di taglio miniaturistico, e la Terza in do mi­nore per grande orchestra con organo e pianoforte op. 78(1886), che ne è in certo senso il negativo in quan­to grandiosa e ricca. Si ascolta soprattutto fuori d'Ilalia, perché da noi non sono molte le orchestre sinfoni­che e meno ancora la sale munite di un grande orga­no. Entrò nel repertorio di grandi direttori a comincia­re da Toscanini che ne lasciò anche una incisione su disco a dir poco impressionante, registrata in pubblico a New York nel 1952, a ottantacinque anni. Per la cronaca, Toscanini aveva diretto quella che credo fosse la "prima" italiana e certo la "prima" a Milano nel novembre 1900.

Alla sua Terza, Saint-Saëns dovette tenere parec­chio: l'aveva dedicata a Liszt, e la fornì di un testo illustrativo analitico piuttosto ampio, dove però non ac­cenna a un elemento tutt'altro che trascurabile: il ma­teriale tematico della Sinfonia deriva quasi tutto dal motivo della sequenza liturgica Dies irae, o almeno dalla sua parte iniziale. E' un motivo notissimo; in ge­nere, è stato adoperato dai compositori per sottoli­neare momenti più o meno mortuari: Liszt ci costruì sopra Totentanz (danza dei morti) per pianoforte e orchestra; Berlioz ne aveva fatto una specie di caricatu­ra grottesca nel finale della Symphonie fantastique a condire la Nuit du Sabbath fra streghe, mostri e de­ moni. Ossia il satanismo caro alle diverse fasi roman­tiche trovò comodo usare questo motivo; piùtardi, ec­colo apparire, per esempio, nell'Isola dei morti di Ra­chmaninov o in Respighi, per le catacombe nei Pini di Roma. Invece Saint-Saëns, anche in questo più avanzato della sua epoca, non sembra badare affat­to alla facile etichetta macabra dei Dies irae (a proposito di macabro, aveva pur già composto la Danse ma­cabre, senza infilarci questo motivo); per lui, quello è un tema di pura musica, adattissimo a una quantità di trasformazioni; lo vede, insomma, da musicista e ba­sta, quasi con deformazione professionale: e come professionista, toccava un livello altissimo.

Tutt'al più poiché il tema è notissimo, avrà trovato piacevole che si potesse notarlo facilmente. Nella Terza sinfonia, malgrado l'etichetta portata dal tema, non c'è niente di macabro, di funebre, di apocalittico.
Anzi. Saint-Saëns vede quel motivo con occhio e con orecchio talmente "musicistici", da sfruttarne per­ fino un frammento minimo (vecchia tradizione classi­ca, anche se le avanguardie del recente Novecento la sbandierano come trovata loro). Difatti, il breve "ada­gio" che apre la Sinfonia inizia facendo scendere i vio­lini dare bemolle a do: ossia, con l'intervallo di un se­mitono che è, volendo, quello tra le prime due note del Dies irae; "l'allegro" moderato che parte quasi subito, adopera triturate nei ribattuti degli archi le prime cin­ que note del tema: naturalmente, trasportato in do mi nore (nel "modo" originale gregoriano, corrisponde­rebbe al nostro re minore); le risposte successive non ne derivano direttamente, ma nella loro coerenza vengono pur sempre da lì. Intanto, è cominciato il gio­co che Saint-Saëns conduce in tutta la sinfonia: con­trasti di colore, ritmiabilmente mossi, ogni sorta di "divertirnenti" che un compositore arciscaltrito sa mette­re in atto: e questo senza che l'attrattiva del discorso ceda mai: il mestiere, a questo livello, diventa creazio­ne. Singolare è il secondo terna (fatto con intervalli del Dies irae diversamente disposti, un cantabile tra sa­lottiero ed esotico (archi e fiati). La testa del Dies irae sbuca poi, con varianti ritmiche e con valori di durata "aggravati" (cioè a note più lunghe) in più momenti dello sviluppo (in genere agli ottoni gravi); Saint­-Saëns si sbizzarrisce a combinare impasti orchestra­li, ad assottigliare o a ingrandire sonorità, a sostituire il "minore" col "maggiore"; procedimenti normalissimi, ma conta come vengono adoperati. Non contento di aver scelto la forma ciclica (così sichiama l'adopera­re un terna solo per i diversi tempi), Saint-Saëns vuo­le anche raggruppare a modo suo la struttura: divide l'intera sinfonia in due grandi parti; perciò, arrivato al­la fine dell'"allegro" con un gioco di "pizzicati", non si ferma, ed ecco l'organo attaccare I' "adagio", come sostegno armonico di un nuovo ampio motivo (re bemolle maggiore) cantato dagli archi all'unisono, la sonorità dell'organo dà un colore tutto particolare.
Attraverso alcune variazioni, il motivo giunge ad una ripresa dove per la suddivisione degli archi e per una svolta armonica inattesa, si innalza più luminoso. Termina qui la prima parte.

La seconda si apre con uno "scherzo" robusto, con un doppio "trio" accelerato ("presto" invece che più lento) e decorato da brillanti scale del pianoforte a due mani. Altri terni, ricavati sempre in vario modo da quel­lo base, portano al "maestoso", dove su organo e ar­chi il pianoforte, stavolta a quattro mani, ricama una rete di quartine sulla nuova veste assunta dal solito terna.
Si apre così la parte più pomposa della sinfonia. E' anche la più datata, a qualcuno può venire in mente la facciata di Palais Garnier, ossia dell'Opéra di Parigi, tutta trofei e pennacchi. Ed è un vistoso, ma ma­gistrale "panache" questo che conclude il lavoro: il grand'organo con le sue ance rombanti, gli ottoni, ru­tilanti colpi di piatto contrastanti con improvvise fola­te fresche dei flauti, curiose sorprese ritmiche, proce­dimenti contrappuntistici, tutto si snoda in maniera di­ vertente e chiassosa ma calcolatissima; fino allo strin­gere di una "coda" dove, prima dell'accordo finale, or­gano e timpani rimangono soli a scandire due battu­te di un curioso e vagamente barocco "fortissimo".

Senza pretese spiritualistiche né evocazioni ro­manzoidi, il tema della sequenza liturgica famosa, a sua volta derivato, come tutte le sequenze, da un ara­bescato "alleluja" gregoriano, è servito a imbastire una gran partita a biliardo con stecche, palle, panno verde tratti dalla tradizione sonatistico-sinfonica. E' quasi un neoclassicismo, in fondo. Se qualcuno al bi­liardo preferisce il tennis, si accomodi. Anche qui, co­me là, se conosce le regole del gioco si divertirà di più.

(dagli Archivi Rai)

Concerto del 9 e 10 gennaio 2025 Auditorium Rai "Arturo Toscanini" di Torino - biglietti da 9 a 30 euro anche online