Le note di sala del concerto di Carnevale

Le note di sala del concerto di Carnevale

Stagione 2024/2025

Le note di sala del concerto di Carnevale
Gioachino Rossini
Sinfonia da La gazza ladra

Camille Saint-Saens
Introduzione e Rondò Capriccioso op. 28

Johann Strauss
Erinerrung an Ernst oder Ein Carnival in Venedig

Mikhail Glinka
Ouverture da Ruslan e Ljudmila

Pablo de Sarasate
Introduzione e Tarantella

Amilcare Ponchielli
Danza delle Ore da La Gioconda

Manuel de Falla
Danza ritual del fuego da El amor brujo

Ferde Grofé
Mardi Gras, da Mississippi suite

Jacques Offenbach
Barcarole da Les contes d’Hoffmann

Jacques Offenbach
Can Can da Orphée aux enfers

L’umorismo è un po’ come il jazz, tutti sanno cos’è ma nessuno sa spiegare cosa sia. Louis Armstrong, parlando del jazz, diceva: «Beh, se devi chiedere cos’è, non lo saprai mai». Lo stesso vale per l’umorismo, non è qualcosa che si possa imparare dall’esterno. Molti compositori hanno avuto uno spiccato senso dell’umorismo, e qualcuno anche un grande istinto comico. Umorismo e comicità, infatti, sono due concetti distinti, anche se spesso usati come sinonimi. L’autore comico è un professionista che ha imparato a usare gli strumenti a disposizione della sua arte per far divertire il pubblico, per suscitare il riso o il sorriso in chi ascolta, mentre chiunque può avere il senso dell’umorismo e spargerlo sul proprio lavoro per simpatia umana, piacere intellettuale o gusto per l’ironia e il paradosso.
Gioacchino Rossini e Jacques Offenbach sono stati due eccezionali campioni della comicità musicale, anche se non tutti i loro lavori rientrano in questa categoria
La gazza ladra, per esempio, è un melodramma appartenente al genere semiserio, che mescola commedia e tragedia con leggerezza ma anche con un certo grado di riflessione. Rossini la scrisse nel 1817 per il Teatro alla Scala, su libretto di Giovanni Gherardini, uno scrittore e intellettuale cresciuto nella cultura riformista lombarda di Cesare Beccaria e nel classicismo di Vincenzo Monti. Ci sono situazioni insolite e curiose, ma l’opera ha per tema un’ingiusta condanna a morte e i ricatti sessuali di un potente su una ragazza indifesa. Fin dall’inizio la Sinfonia, scritta come di consuetudine per ultima dopo la stesura dell’opera, fu considerata giustamente un capolavoro. Già i rulli di tamburo che introducono il Maestoso Marziale ammoniscono sulla vera natura del lavoro, sottoposto come tutti i personaggi del dramma alla severa disciplina militare. Le rapide e nervose terzine del successivo Allegro con brio, che passa improvvisamente in mi minore su un ostinato accompagnamento di accordi staccati sottovoce, segneranno poi nel dramma il patetico addio tra Ninetta, condannata a morte per il presunto furto di un cucchiaio d’argento, e il fedele servo Pippo, la scena più dolorosamente espressiva dell’opera.

Il secondo tema, nella relativa tonalità di sol maggiore, contrappone in maniera solo apparentemente umoristica il mellifluo inchino di clarinetto e oboe alla sardonica risposta dell’ottavino, che snocciola una beffarda discesa cromatica come una risata maligna. In realtà qui siamo già nel reame psicologico del Podestà, come rivela il crescendo che ingrossa a poco a poco l’orchestra riprendendo in pratica la sua aria col coro dell’Atto Secondo in cui prepara la condanna a morte dell’innocente Ninetta. Prima di conoscere la vicenda dell’opera, questa monumentale e sgargiante Sinfonia può essere accolta come una magnifica introduzione a una giocosa commedia degli equivoci, ma una volta ricostruiti i nessi della trama musicale con gli sviluppi drammatici, tutti pescati da temi che dipingono i momenti più dolorosi e iniqui, risulta evidente che Rossini considerava gli aspetti tragici di quest’opera più rilevanti di quelli comici.
     
In ogni caso Rossini è la fonte di ogni opera comica dell'Ottocento, comprese quelle di Offenbach, che agli inizi della brillante avventura del Théâtre des Bouffes-Parisiens ricevette anche la benedizione del venerato Maestro di Passy.
La danza più rappresentativa dello spirito dell’operetta parigina, infatti, è l’osceno e sfrenato can-can, che Offenbach ha esaltato nel celebre Galop infernal dell’Orphée aux enfer
Le operette di Offenbach hanno accompagnato l’ascesa di Napoleone III, e i fasti del Secondo Impero. La Parigi medievale si trasformò in una metropoli moderna, spaziosa e rappresentativa della nuova vocazione borghese e capitalista della Francia. Dopo la guerra franco-prussiana del 1870, l’insurrezione di Parigi e la sanguinosa repressione della Comune anche il mondo del teatro non fu più lo stesso. L’antisemitismo, alimentato violentemente dalla crisi economica, serpeggiava in forme sempre più virulente nella società francese, e il teatro di Offenbach, Halévy, Meilhac, tutti autori di origine ebraica, maestri della satira graffiante, dell’umorismo piccante, della parodia dissacrante, declinò rapidamente nel corso degli anni Settanta. La fama di jettatore si allunga sull'ultimo lavoro teatrale di Offenbach, Les contes d'Hoffmann, rimasto incompiuto alla morte dell'autore, nel 1880. Ernest Guiraud, che in precedenza aveva già rimaneggiato la Carmen di Bizet musicando le parti recitate, fu incaricato di completare l'orchestrazione e preparare una versione rappresentabile del lavoro. Fu così che l'aria più popolare dell'opera, «Belle nuit, ô nuit d'amour», entrò a far parte dei Contes d'Hoffmann, sebbene non fosse stata scritta per l’opera. Guiraud, infatti, inserì nell'atto veneziano la famosa barcarola, presa da una vecchia opera romantica di Offenbach, Les Fées du Rhin, rappresentata una sola volta a Vienna nel 1864.

L’umorismo è un albero dai molti rami, uno dei quali si allunga sulla cosiddetta couleur locale. Spesso lo sguardo di uno straniero avvolge in un velo di ironia e sussiego il racconto di usi e costumi di genti lontane, altre volte prevale l’orgoglio per le proprie radici anche accompagnato da un pizzico di ripicca. Signore della musica da ballo nella Vienna del Vormärz, il lungo periodo della Restaurazione che va dalla caduta di Napoleone alla Rivoluzione del 1848, Johann Strauss padre non è stato toccato dalla grazia divina come il figlio, di cui ha cercato in ogni modo di soffocare la vocazione musicale, e probabilmente non fu nemmeno dotato dello stesso senso dell’umorismo. La sua orchestra, tuttavia, divertiva il pubblico ed era formata dai migliori musicisti di Vienna, come si può intuire dalla spettacolare Erinnerung an Ernst (Ricordo di Ernst) op. 126. Heinrich Wilhelm Ernst è stato uno dei più grandi violinisti del primo Ottocento, rivaleggiando con Paganini sul terreno del virtuosismo. Le sue variazioni sul Carnevale di Venezia sono paragonabili, e secondo alcuni addirittura superiori, a quelle di Paganini. Il vecchio Strauss prese spunto dallo stesso tema, che come una sorta di basso continuo fornisce una struttura semplice e ideale per far crescere una variopinta selva di fioriture strumentali, che mettono in luce le qualità dei solisti dell’orchestra.

Un altro leggendario virtuoso del violino fu Pablo de Sarasate, che nella seconda metà dell’Ottocento incantò il pubblico europeo. Tra i suoi ammiratori figurava anche Camille Saint-Saëns, a sua volta uno dei più brillanti pianisti della sua epoca, autore di ben cinque Concerti per pianoforte, tre per violino e due per violoncello, oltre a diversi pezzi concertanti per altri strumenti. Nel 1859 il violinista di Pamplona chiese a Saint-Saëns di scrivere per lui un Concerto, al quale seguì nel 1863 un altro lavoro concertante, l’Introduzione e Rondo capriccioso, imbevuto di carattere “spagnolo” secondo il gusto per l’esotico della pittura e della letteratura di quegli anni. Se al francese Saint-Saëns sembrava esotica la musica spagnola, allo spagnolo Sarasate pareva pittoresca quella italiana, e in particolare la tarantella, la sfrenata danza napoletana che ha colpito l’immaginazione di innumerevoli compositori di tutta Europa già a partire dal Settecento. Sarasate scrisse la sua virtuosistica versione della tarantella, Introduzione e Tarantella, allo scoccare del Novecento, prima nella versione per violino e pianoforte e subito dopo in una trascrizione per orchestra. Sarasate, in genere, scriveva musica ricca di riferimenti al folklore spagnolo, ma sempre con la mentalità ottocentesca della couleur locale, del pittoresco sorridente.
Per Manuel de Falla, il primo audace e severo modernista spagnolo, la musica popolare era invece qualcosa da prendere molto più sul serio, poiché le sue radici affondano nel mito, nel mondo arcaico, nella natura più oscura e profonda della terra e dell’uomo
Come il fauno di Debussy o la Russia pagana di Stravinskij, il mondo gitano di Falla restituiva alla modernità del primo Novecento un legame insospettato con l’antico. Nel 1915 Falla scrisse una “gitaneria musicale” per Pastora Imperio, una cantaora e ballerina ventenne di Siviglia, quintessenza della sensualità ferina andalusa incarnata dal mito di Carmen. Da questa sorta di miscuglio di musica, danza, pantomima e canto che era L’amor brujo, Falla ricavò prima una Suite da concerto e dieci anni dopo, nel 1925, un vero e proprio balletto, nel quale spicca la Danza ritual del fuego, pochi minuti di efficacissimo effetto per un’orchestra esplosiva ricca di ritmi e bagliori timbrici.
   
Anche Michail Glinka era un enfant du pays, ma la Russia del primo Ottocento era in pratica un mondo musicale ancora vergine.
Un fenomeno meraviglioso, senza precedenti nella sfera dell’arte – scrisse Cajkovskij sul suo diario – Un dilettante che suonava un po’ il violino, un po’ il pianoforte; che ha composto quadriglie assolutamente incolori, fantasie su temi italiani alla moda, che si è misurato con forme serie (il quartetto e il sestetto) e con romanze, ma che non ha scritto altro che banalità secondo il gusto degli anni Trenta, e improvvisamente all’età di trentaquattro anni ha prodotto un’opera [Una vita per lo Zar ] che per genialità, portata, novità e tecnica inappuntabile colloco tra quelle più grandiose e profonde che esistano nell’arte
Dopo quell’exploit, Glinka cominciò a cercare negli ambienti letterari di San Pietroburgo un soggetto adatto per una nuova opera, concentrandosi alla fine su una ballata giovanile di Puskin che racconta le fantastiche avventure del guerriero Ruslan per liberare l’amata Ljudmila dall’incantesimo del mago Cernomor. La musica di gran lunga più conosciuta di Ruslan e Ljudmila, rappresentata nel 1842, è la brillante Ouverture, che rimase un modello per tutti i compositori russi. Cajkovskij non esitava a paragonare il suo stile sinfonico a quello di Beethoven:
La stessa modestia di mezzi e la mancanza assoluta di effetti esteriori; la stessa sobria bellezza, esposta chiaramente, di un’idea non artificiale, ma ispirata; la stessa plasticità delle forme e la fusione delle parti dell’opera di carattere più contrastante; e infine la stessa inimitabile orchestrazione, priva di affettazione e di ricercatezza, potente ma senza rumore e crepitio, trasparente pur senza vacuità indeterminata nel disegno armonico
Forse è un po’ esagerato, ma il ritmo e il colore di questa Ouverture hanno segnato la storia della musica russa.

Due maestri dell’illustrazione musicale, infine, furono Amilcare Ponchielli e Ferde Grofé, per molti anni pianista e arrangiatore dell’orchestra di Paul Whiteman. Grofè veniva da una rispettabile famiglia ugonotta di New York. Il nonno materno era stato primo violoncello della Los Angeles Philharmonic, e lo zio Julius violino di spalla. Nell’orchestra di Whiteman, dove era entrato nel 1917 dopo una giovinezza avventurosa vagabondando in California, Grofé faceva un po’ di tutto, occupandosi anche degli arrangiamenti, come nel caso di Rhapsody in Blue di Gershwin. Scrisse anche lavori originali, come la Suite Mississippi, intesa come un tributo alla musica dei neri del Sud. Il numero più celebre della Suite, scritta nel 1925, è Mardi Gras, che chiude il lavoro con le sonorità scintillanti degli ottoni, in omaggio alle band di New Orleans, ma anche con una distesa melodia che si dispiega nella parte centrale.

Ponchielli, invece, aveva altri soggetti da dipingere sulla tela musicale. Il suo successo maggiore fu La Gioconda, un drammone di Arrigo Boito ambientato in una Venezia rinascimentale buia e violenta e rappresentato alla Scala nel 1876. Nell’Atto III il potente Inquisitore di Stato Alvise Badoero offre un ricevimento che mescola in maniera grottesca il tragico e il comico. In una sala sfarzosa accanto alla cella funeraria dove giace il cadavere della moglie, indotta ad assumere un veleno come punizione per il tradimento, Badoero invita gli ospiti ad assistere a uno spettacolo allegorico, la danza delle Dodici ore.
La musica leggiadra del balletto doveva rappresentare un contrasto stridente con il contesto violento e spietato della vendetta, ma separata dall’opera perde completamente il suo carattere truce e grottesco. Walt Disney poi ha fatto il resto, prendendo la Danza delle ore per un episodio del film Fantasia, dove struzzi e ippopotami in tutu volteggiano leggiadri sulle note di Ponchielli
Disney evidentemente intuiva il potenziale comico della Danza delle ore anche prima di Fantasia, perché inserì la musica di Ponchielli anche in una delle sue Silly Symphonies, Springtime, dove in un arrangiamento burlesco le aggraziate notine della danza accompagnano la spietata lotta per la sopravvivenza nella natura che si risveglia. Per completare il cerchio grottesco dell’involontario umorismo della Danza delle ore, Springtime uscì nelle sale cinematografiche giusto il 24 ottobre 1929, il Venerdì nero della Borsa di New York, una crisi finanziaria che chiudeva i ruggenti anni Venti e inaugurava un decennio di miseria e sacrifici per milioni di lavoratori in America e nel mondo.

Oreste Bossini