Le note di sala del concerto n. 15 della stagione 2024/2025 dell'Orchestra Rai
Pëtr Il'ič Čajkovskij e Edward Elgar
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Concerto in re maggiore per violino e orchestra, op. 35
Musica puzzolente
Čajkovskij dovette faticare non poco per far digerire ai contemporanei quelli che sarebbero diventati i suoi più celebri Concerti. Nel 1874 il Primo Concerto per pianoforte e orchestra fu accolto con freddezza da un decano come Nikolaj Rubinstejn; e nel 1881 il Concerto per violino e orchestra fu salutato come «musica puzzolente»: parola di Eduard Hanslick, che recensì il lavoro rilevandovi poco più che rozzezza, barbarie e totale mancanza di gusto. Čajkovskij fece poco caso a quell’articolo di giornale; del resto già davanti alle correzioni suggerite da Rubinstejn al Primo Concerto pianistico aveva reagito con un secco: «Non cambierò nemmeno una nota del mio lavoro». Le osservazioni di un critico un po’ parruccone, che si sapeva sciogliere solo davanti alla musica di Brahms, non potevano certo impensierire un compositore che aveva già rifiutato senza troppi complimenti la revisione del grande violinista Leopold Auer: anche alle osservazioni di quest’ultimo, circa la possibilità di rendere «più eseguibili» alcuni passaggi, Čajkovskij aveva reagito da par suo, infischiandosene, e cercando un altro artista disposto a suonare la sua musica. Fu così che il 22 novembre del 1881, a Vienna, la partitura prese vita grazie all’interpretazione solistica del giovane Adolf Brodskij, l’unico che ebbe il coraggio, o meglio l’incoscienza, di affrontare un Concerto già rifiutato da nomi illustri (anche Josif Kotek, inizialmente, era stato coinvolto nella stesura del lavoro, ma poi si fece da parte confessando di non essere in grado di eseguire l’ultimo movimento).
Concerto in re maggiore per violino e orchestra, op. 35
Musica puzzolente
Čajkovskij dovette faticare non poco per far digerire ai contemporanei quelli che sarebbero diventati i suoi più celebri Concerti. Nel 1874 il Primo Concerto per pianoforte e orchestra fu accolto con freddezza da un decano come Nikolaj Rubinstejn; e nel 1881 il Concerto per violino e orchestra fu salutato come «musica puzzolente»: parola di Eduard Hanslick, che recensì il lavoro rilevandovi poco più che rozzezza, barbarie e totale mancanza di gusto. Čajkovskij fece poco caso a quell’articolo di giornale; del resto già davanti alle correzioni suggerite da Rubinstejn al Primo Concerto pianistico aveva reagito con un secco: «Non cambierò nemmeno una nota del mio lavoro». Le osservazioni di un critico un po’ parruccone, che si sapeva sciogliere solo davanti alla musica di Brahms, non potevano certo impensierire un compositore che aveva già rifiutato senza troppi complimenti la revisione del grande violinista Leopold Auer: anche alle osservazioni di quest’ultimo, circa la possibilità di rendere «più eseguibili» alcuni passaggi, Čajkovskij aveva reagito da par suo, infischiandosene, e cercando un altro artista disposto a suonare la sua musica. Fu così che il 22 novembre del 1881, a Vienna, la partitura prese vita grazie all’interpretazione solistica del giovane Adolf Brodskij, l’unico che ebbe il coraggio, o meglio l’incoscienza, di affrontare un Concerto già rifiutato da nomi illustri (anche Josif Kotek, inizialmente, era stato coinvolto nella stesura del lavoro, ma poi si fece da parte confessando di non essere in grado di eseguire l’ultimo movimento).
A stupire il pubblico delle prime esecuzioni fu un trattamento davvero senza precedenti del violino, capace di passare dal lirismo mellifluo alla furia grottesca nel giro di poche pagine: qualcosa che si nota subito, fin dall’Allegro moderato nel quale si alternano idee rassicuranti come una parola materna, baratri di malinconia (il secondo tema in particolare), scatti di nervi imprevedibili, slanci epici
Hanslick alla fine del movimento sentì lo strumento solista «tagliare, stridere e ruggire»; non era certo un complimento, ma in realtà quelle parole coglievano la grandezza del Concerto op. 35, un’opera in cui il violino si contorce pur di esprimere emozioni intense e di emanciparsi dalla tradizionale etichetta di strumento melodico (la cadenza solistica, incastonata al centro del brano, come nell’analogo lavoro di Mendelssohn, è forse il momento più rappresentativo di questo credo estetico).
La Canzonetta comparve solo nella seconda stesura della composizione (un precedente Andante fu espunto in corso d’opera e recuperato in seguito come pagina sciolta). Qui la vena melodica dello strumento si fa vedere; ma Čajkovskij non si mette a tavolino per pensare e costruire; preferisce rievocare la cantabilità primordiale del violino, riuscendo a pennellare il ritratto meraviglioso di una cultura - quella russa naturalmente - in cui la scrittura colta vive sempre in simbiosi con il materiale di origine popolare.
La conferma viene dall’ultimo movimento in cui il solista barcolla con ruspante vivacità sul filo che separa l’esaltazione dalla disperazione; proprio come succede a chiunque cerchi lo stordimento per dimenticare qualche dolore straziante.
Andrea Malvano
(dagli archivi Rai)
Edward Elgar
Sinfonia n. 2 in mi bemolle maggiore, op. 63
Vissuto dal 1857 al 1934, sir Edward Elgar occupa un lungo ed importante spazio della musica inglese moderna. Il suo stile risente l'influenza del romanticismo musicale tedesco, specie di Schumann e di Wagner.
La Canzonetta comparve solo nella seconda stesura della composizione (un precedente Andante fu espunto in corso d’opera e recuperato in seguito come pagina sciolta). Qui la vena melodica dello strumento si fa vedere; ma Čajkovskij non si mette a tavolino per pensare e costruire; preferisce rievocare la cantabilità primordiale del violino, riuscendo a pennellare il ritratto meraviglioso di una cultura - quella russa naturalmente - in cui la scrittura colta vive sempre in simbiosi con il materiale di origine popolare.
La conferma viene dall’ultimo movimento in cui il solista barcolla con ruspante vivacità sul filo che separa l’esaltazione dalla disperazione; proprio come succede a chiunque cerchi lo stordimento per dimenticare qualche dolore straziante.
Andrea Malvano
(dagli archivi Rai)
Edward Elgar
Sinfonia n. 2 in mi bemolle maggiore, op. 63
Vissuto dal 1857 al 1934, sir Edward Elgar occupa un lungo ed importante spazio della musica inglese moderna. Il suo stile risente l'influenza del romanticismo musicale tedesco, specie di Schumann e di Wagner.
Tuttavia gli sono personali un lirismo dalla facile ed affascinante comunicativa, l'eleganza della condotta, la robustezza dello strumentale
Nella ricchissima produzione di Elgar, spiccano le due Sinfonie (una terza rimase incompiuta e inedita), le Variazioni su un tema originale meglio conosciute come Enigma Variations, l'oratorio Il sogno di Geronzio, le cinque marce Pomp and Circumstance, la ouverture Cockaigne, il Concerto per violino e orchestra.
La Seconda sinfonia in mi bemolle maggiore op. 63 è del 1911 e segue di tre anni la Prima, rispetto alla quale però si colloca su un diverso piano espressivo.
La Seconda sinfonia in mi bemolle maggiore op. 63 è del 1911 e segue di tre anni la Prima, rispetto alla quale però si colloca su un diverso piano espressivo.
Infatti, mentre la prima è grandiosa e piuttosto cupa nell'accento, la seconda, pur iniziando in uno stato d'animo di tristezza, conquista via via toni lieti, sbocca in una vera e propria gioiosità nel Rondò, e termina infine su una nota trionfante di ottimismo
Perciò, secondo Robert H. Hull, il fascino dell'opera è immediato, e l'impressione generale che ne rimane è quella di una gaiezza spontanea:
Questa atmosfera è comune a ciascuno dei quattro tempi, nonostante il significato di tranquilla meditazione che emana dall'Adagio
Dedicata alla memoria di re Edoardo VII, la Seconda sinfonia ebbe la sua prima esecuzione a Londra il 24 maggio 1911.
Angiola Maria Bonisconti
(dagli Archivi Rai)
Angiola Maria Bonisconti
(dagli Archivi Rai)