Le note di sala del secondo appuntamento di Rai Nuova Musica 2024/2025
27 marzo 2025, 20.30
Niccolò Castiglioni
Sarabanda per orchestra
Il modo migliore per entrare nel mondo di Niccolò Castiglioni sarebbe quello di vedere le sue partiture, vergate con quella scrittura così nitida, ascetica, a tratti infantile. Così è la sua musica, specie nell’ultima fase, depurata di ogni scoria superflua, semplice ed essenziale, in cerca di un’antica, e forse perduta, innocenza. Sarabanda è il pannello centrale di un trittico intitolato Altisonanza, composto tra il 1990 e il 1992, pochi anni prima della scomparsa, avvenuta a Milano nel 1996. Com’è specificato sulla partitura, i tre pezzi (gli altri due sono Entrée e Perigordino) possono essere eseguiti anche da soli, segno che ciascuno di essi possiede un’autonomia linguistica e formale che li rende indipendenti dal lavoro complessivo. In calce alla partitura di Sarabanda è indicato l’anno e il luogo della composizione, 1992 Brixen, il nome tedesco di Bressanone, luogo del cuore di Castiglioni, circondata dalle amate montagne della Val d’Isarco, ricca di risonanze mistiche e spirituali per l’orecchio inquieto e finissimo del maestro milanese.
Sarabanda per orchestra
Il modo migliore per entrare nel mondo di Niccolò Castiglioni sarebbe quello di vedere le sue partiture, vergate con quella scrittura così nitida, ascetica, a tratti infantile. Così è la sua musica, specie nell’ultima fase, depurata di ogni scoria superflua, semplice ed essenziale, in cerca di un’antica, e forse perduta, innocenza. Sarabanda è il pannello centrale di un trittico intitolato Altisonanza, composto tra il 1990 e il 1992, pochi anni prima della scomparsa, avvenuta a Milano nel 1996. Com’è specificato sulla partitura, i tre pezzi (gli altri due sono Entrée e Perigordino) possono essere eseguiti anche da soli, segno che ciascuno di essi possiede un’autonomia linguistica e formale che li rende indipendenti dal lavoro complessivo. In calce alla partitura di Sarabanda è indicato l’anno e il luogo della composizione, 1992 Brixen, il nome tedesco di Bressanone, luogo del cuore di Castiglioni, circondata dalle amate montagne della Val d’Isarco, ricca di risonanze mistiche e spirituali per l’orecchio inquieto e finissimo del maestro milanese.
La sarabanda è una forma di danza di carattere lento e solenne, interpretata da Castiglioni come un ricercare nello stile ascetico e rigoroso di Webern, quasi un ricordo del suo antico apprendistato seriale
“Sognando…” è l’indicazione espressiva posta a grandi lettere sulla pagina iniziale. Il materiale è frantumato in un flusso di timbri da un’orchestra taciturna e frastagliata, che si raduna lentamente attorno a un’idea armonica che affiora dallo scarno contrappunto per sbocciare, alla fine, in un accordo di do maggiore degli archi, terso e puro come un ruscello di montagna.
Luciano Berio
Corale su Sequenza VIII per violino, due corni e archi
Complessità non è un concetto oggi di moda, ma per Luciano Berio, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, rappresentava una caratteristica essenziale del pensiero umano.
Luciano Berio
Corale su Sequenza VIII per violino, due corni e archi
Complessità non è un concetto oggi di moda, ma per Luciano Berio, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, rappresentava una caratteristica essenziale del pensiero umano.
Per Berio la musica, ma più in generale ogni linguaggio artistico, era un sistema organico e strutturato in una pluralità di elementi interagenti tra di loro e con l’insieme
La complessità è il frutto delle molteplici e infinite relazioni che si stabiliscono tra questi elementi, influendo sul comportamento globale del sistema. Molte composizioni di Berio, infatti, sono generate da precedenti lavori, in un processo costantemente aperto di rielaborazione, riscrittura, nuove esplorazioni delle caratteristiche implicite nel materiale originario. Corale, infatti, nasce nel 1981 come riscrittura per orchestra della Sequenza VIII per violino solo, un lavoro del 1976 dedicato all’amico violinista Carlo Chiarappa. La parte solistica mantiene quasi intatta la scrittura della Sequenza, mentre l’orchestra d’archi, arricchita da due corni, si rispecchia nel materiale del violino restituendone un’immagine nuova e per certi versi deformata dalla creazione di uno spazio realmente armonico laddove in origine esisteva solo l’illusione sonora di un’armonia. In questo senso, Corale è un tributo a quella geniale sintesi delle tecniche passate, presenti e future del violino che è la Ciaccona in re minore di Bach, nel solco delle trascrizioni di un lavoro così affascinante compiute da maestri come Brahms e Busoni.
Nelle pieghe di entrambi i lavori, la Sequenza e Corale, si cela anche un rapporto personale di Berio con il violino, uno strumento molto ammirato e allo stesso tempo vissuto forse come un infelice amore di gioventù
Il perno musicale del lavoro è l’asse formato da due note, La e Si naturale, attorno al quale si sviluppa un viaggio avventuroso e con molteplici sfaccettature espressive. La e Si sono le note più elementari da produrre sul violino, una corda vuota e il primo dito, e La è anche la prima nota del tema della Ciaccona, l’origine del mondo per così dire. Su questo asse, come nella Sequenza per violino, si sviluppa un ordito di gesti e figurazioni musicali ben radicato nella tradizione del virtuosismo, ma come sempre in Berio piegato a una ricerca espressiva che include il timbro, le durate, gli schemi metrici. La cura, per esempio, di trovare una diteggiatura che permetta al solista di variare l’emissione di una nota su varie corde, oppure di indicare per il finale trasfigurato l’uso della sordina pesante per gli archi, per ridurre la formazione di armonici, sono tutti elementi di un’idea di virtuosismo molto più complessa della semplice acrobazia digitale. Nonostante la gestualità solistica del violino, non sembra appropriato collocare Corale nell’ambito della musica concertante, perché l’orchestra qui è in realtà un organismo generato dal materiale originale, che si espande al di fuori del violino e assume una vita riconducibile alla Sequenza ma mutata di segno.
Gérard Grisey
Modulations da Les espaces acoustiques
In uno scritto del 1980, Gérard Grisey osservava: "I compositori del ventesimo secolo, come quelli del Trecento e Quattrocento, hanno speculato molto sulle durate. Applicavano al tempo le stesse proporzioni che si trovano nei concetti spaziali: numeri primi (Olivier Messiaen), la sezione aurea (Bela Bartók), la serie di Fibonacci (Karlheinz Stockhausen), binomi newtoniani (Jean-Claude Risset) e anche procedure stocastiche: teoria cinetica dei gas (Iannis Xenakis). Sebbene utili come metodi di lavoro, tali speculazioni sono ancora ben lontane dal suono per come è percepito. Sono diventate ridicole quando i nostri predecessori hanno finito per confondere la mappa con la conformazione del territorio».
Senza peli sulla lingua, Grisey attaccava la generazione dei maestri, compreso il suo, Messiaen, mettendo il dito su quella che considerava la piaga dell’avanguardia musicale, la voragine che si era spalancata tra le formule compositive e l’effettiva esperienza dell’ascolto. Verso la fine degli anni Settanta, Grisey e altri giovani compositori della scena francese cominciarono a opporsi all’idea che scrivere musica significasse soltanto manipolare i parametri musicali e inventare strutture formali, esaltando invece il suono come matrice formante del pensiero musicale.
Gérard Grisey
Modulations da Les espaces acoustiques
In uno scritto del 1980, Gérard Grisey osservava: "I compositori del ventesimo secolo, come quelli del Trecento e Quattrocento, hanno speculato molto sulle durate. Applicavano al tempo le stesse proporzioni che si trovano nei concetti spaziali: numeri primi (Olivier Messiaen), la sezione aurea (Bela Bartók), la serie di Fibonacci (Karlheinz Stockhausen), binomi newtoniani (Jean-Claude Risset) e anche procedure stocastiche: teoria cinetica dei gas (Iannis Xenakis). Sebbene utili come metodi di lavoro, tali speculazioni sono ancora ben lontane dal suono per come è percepito. Sono diventate ridicole quando i nostri predecessori hanno finito per confondere la mappa con la conformazione del territorio».
Senza peli sulla lingua, Grisey attaccava la generazione dei maestri, compreso il suo, Messiaen, mettendo il dito su quella che considerava la piaga dell’avanguardia musicale, la voragine che si era spalancata tra le formule compositive e l’effettiva esperienza dell’ascolto. Verso la fine degli anni Settanta, Grisey e altri giovani compositori della scena francese cominciarono a opporsi all’idea che scrivere musica significasse soltanto manipolare i parametri musicali e inventare strutture formali, esaltando invece il suono come matrice formante del pensiero musicale.
Questa nouvelle vague musicale prese il nome di musica spettrale, perché la premessa di questo nuovo stile compositivo era uno studio analitico di ciò che avviene dentro la materia sonora, in maniera analoga alla ricerca sulle particelle nella fisica contemporanea
Una delle più importanti risposte sul piano creativo al dibattito che si era sviluppato in quegli anni fu il ciclo Les espaces acoustiques di Grisey, scritto nell’arco di un decennio tra il 1974 e il 1985. Il ciclo è formato da sei lavori, che partendo dal suono di una viola sola in Prologue allargano sempre più il perimetro sonoro fino ad arrivare alla gigantesca saturazione acustica di Epilogue per quattro corni e grande orchestra. Modulations per 33 musicisti è la quarta tappa del ciclo, il ponte tra la musica da camera e l’orchestra vera e propria. Nella prospettiva del ciclo, Modulations apre la seconda parte, e lo fa in maniera teatrale con una specie di gesto per richiamare l’attenzione formato da due robusti accordi dissonanti che cozzano in maniera ritmicamente imprevedibile. Questi grumi sonori a poco a poco si allungano, si addolciscono, si trasformano in maniera impercettibile secondo una logica accuratamente calcolata nel timbro e nel contenuto armonico per cercare di raggiungere una sintesi impossibile dai contorni sempre più sfumati e sfuggenti. Il titolo, Modulations, allude a questo perenne flusso transitorio da uno stadio all’altro del materiale musicale, dalla dissonanza alla consonanza, dall’irregolarità ritmica alla periodicità, dal caos del rumore allo spazio armonico.
Tutto il lavoro di Grisey è una forma di lento viaggio circolare nel suono, senza una mèta prefissata, come un solenne rituale di luce e di colore
Il viaggiatore che accetta di seguire Grisey in questa odissea sonora deve compiere lo sforzo di mettere da parte ogni aspettativa di carattere formale e di lasciarsi andare a un oceano sonoro nel quale emergono costantemente nuove combinazioni di timbri e articolazioni ritmiche e paesaggi armonici sempre diversi. Una grande pausa separa in due la partitura. Dopo la pausa, le percussioni riprendono il flusso temporale con una processione di accordi giganteschi, saturi di armonici che lentamente si alleggeriscono e rivelano nuovi piani sonori. In Modulations tutto scorre, in un flusso musicale sottoposto a continui e impercettibili cambiamenti impossibili da cogliere nei singoli episodi. Gli unici punti di riferimento sono lo spettro armonico della nota Mi e le articolazioni periodiche della relazione dinamica tra tensione e rilassamento che sta alla base dell’intero lavoro.
Frank Zappa
The Perfect Stranger
Nel 1984 usciva un nuovo album di Frank Zappa contenente una serie di lavori di musica da camera eseguiti dall’Ensemble InterContemporain di Parigi, fondato da Pierre Boulez nel 1976. Il matrimonio morganatico tra il personaggio più sperimentale e anarchico della nuova musica americana e l’icona della musica contemporanea europea, benché per entrambi vantaggioso dal punto di vista dell’immagine, non risultò del tutto felice sul piano artistico. I musicisti dell’Ensemble e Zappa, abituato a metodi di lavoro completamente diversi e a un’idea di suono prodotta in studio, non legarono bene, e alla fine alcuni brani dell’album furono eseguiti solo da Zappa con il synclavier, un nuovo sistema elettronico per la registrazione e l’editing digitale adottato da diversi musicisti pop e rock nei primi anni Ottanta, comparendo nella copertina sotto l’etichetta pomposa e ironica di Barking Pumpkin Digital Gratification Consort. Le premesse di questo incontro furono l’interesse di Boulez per certe apparecchiature tecniche usate da Zappa nei suoi concerti, e il desiderio di Zappa di essere eseguito da Boulez, un maestro dell’avanguardia che l’aveva attratto fin da ragazzo. Dopo un concerto a Parigi nel 1980, Zappa sottopose alcune delle sue partiture a Boulez, il quale non solo gli offrì la possibilità di farle provare all’Ensemble InterContemporain ma lo invitò anche a scrivere un nuovo lavoro, che poi diede il titolo all’album,
. La prima esecuzione del lavoro avvenne a Parigi il 9 gennaio 1984, e qualche mese dopo fu registrato, assieme ad altri brani, negli studi dell’Ircam.
L’incontro negli anni Cinquanta con la musica ultramodernistica di Edgar Varèse fu la scintilla della personalità creativa di Zappa, spuntato nel campo della musica rock e pop degli anni Sessanta e Settanta come una pianta del tutto inclassificabile. L’esempio di Varèse, artista libero e coraggiosamente intransigente, segnò il suo percorso fin da ragazzo, quando s’imbattè per caso in un disco contenente Ionisation, scoprendo un mondo sonoro del tutto sconosciuto ma estremamente affascinante. Il giovane percussionista autodidatta, infatti, si mise subito in contatto con l’anziano maestro, ormai sfiduciato e del tutto ai margini della vita musicale, ricavandone comunque una grande lezione di vita e integrità artistica.
Frank Zappa
The Perfect Stranger

Nel 1984 usciva un nuovo album di Frank Zappa contenente una serie di lavori di musica da camera eseguiti dall’Ensemble InterContemporain di Parigi, fondato da Pierre Boulez nel 1976. Il matrimonio morganatico tra il personaggio più sperimentale e anarchico della nuova musica americana e l’icona della musica contemporanea europea, benché per entrambi vantaggioso dal punto di vista dell’immagine, non risultò del tutto felice sul piano artistico. I musicisti dell’Ensemble e Zappa, abituato a metodi di lavoro completamente diversi e a un’idea di suono prodotta in studio, non legarono bene, e alla fine alcuni brani dell’album furono eseguiti solo da Zappa con il synclavier, un nuovo sistema elettronico per la registrazione e l’editing digitale adottato da diversi musicisti pop e rock nei primi anni Ottanta, comparendo nella copertina sotto l’etichetta pomposa e ironica di Barking Pumpkin Digital Gratification Consort. Le premesse di questo incontro furono l’interesse di Boulez per certe apparecchiature tecniche usate da Zappa nei suoi concerti, e il desiderio di Zappa di essere eseguito da Boulez, un maestro dell’avanguardia che l’aveva attratto fin da ragazzo. Dopo un concerto a Parigi nel 1980, Zappa sottopose alcune delle sue partiture a Boulez, il quale non solo gli offrì la possibilità di farle provare all’Ensemble InterContemporain ma lo invitò anche a scrivere un nuovo lavoro, che poi diede il titolo all’album,

L’incontro negli anni Cinquanta con la musica ultramodernistica di Edgar Varèse fu la scintilla della personalità creativa di Zappa, spuntato nel campo della musica rock e pop degli anni Sessanta e Settanta come una pianta del tutto inclassificabile. L’esempio di Varèse, artista libero e coraggiosamente intransigente, segnò il suo percorso fin da ragazzo, quando s’imbattè per caso in un disco contenente Ionisation, scoprendo un mondo sonoro del tutto sconosciuto ma estremamente affascinante. Il giovane percussionista autodidatta, infatti, si mise subito in contatto con l’anziano maestro, ormai sfiduciato e del tutto ai margini della vita musicale, ricavandone comunque una grande lezione di vita e integrità artistica.
Nelle mie composizioni – scrive Zappa in The Real Frank Zappa Book – impiego un sistema di pesi, bilanciamenti, tensioni e distensioni calcolate,
stabilendo un paragone con i mobiles di Alexander Calder. La caotica anarchia della musica di Zappa, infatti, è in realtà il frutto di un lavoro estremamente minuzioso su ogni dettaglio non solo della composizione, ma anche della esecuzione e della registrazione. Zappa era un artista maniacale, che pretendeva un controllo assoluto su ogni fase della produzione. Questa determinazione divenne subito fin troppo evidente al momento di registrare The Perfect Stranger
con Pierre Boulez e l’Ensemble Intercontemporain. Il titolo allude a un film sperimentale del 1971, 200 Motels, una sorta di musical surrealista scritto da Zappa e filmato da Tony Palmer, regista famoso per i suoi documentari sulla popular music, dai Beatles ai Cream, e su i grandi personaggi della musica, da Wagner a Puccini, Britten, Menhuin, Maria Callas. Le tensioni sorte all’epoca della registrazione non hanno tolto al lavoro il fascino di un incontro certamente spettacolare tra personalità creative così forti come Zappa e Boulez. Forse si fa peccato a pensare che Zappa abbia infarcito di glissandi The Perfect Stranger
, un tipo di effetto detestato da Boulez, ma non è detto che si sbagli, conoscendo lo spirito iconoclasta dell’irriverente creatore delle Mothers of Invention.
Zappa. FZ, Erank Zappa and the Moustache
are marks belonging to the Zappa Family Trust.
All Rights Reserved. Used by permission.
John Adams
Guide to strange places per orchestra
Zappa incarna l’anima selvaggia e on the road della post-avanguardia americana, mentre John Adams ne rappresenta il lato più accademico e istituzionale. Come Zappa, Adams si è trasferito dalla costa occidentale a quella orientale, che in senso metaforico significa anche distaccarsi dalle radici culturali europee, solo che il suo viaggio non si è dipanato nei caotici meandri della controcultura giovanile degli anni Sessanta ma è partito dall’Università di Harvard per arrivare prima al Conservatorio di San Francisco e poi alla San Francisco Symphony Orchestra, dove è stato composer in residence dal 1979 al 1985. In altre parole, Adams è un compositore nel senso tradizionale del termine, sebbene la sua musica non sia per nulla tradizionale né convenzionale. Il suo linguaggio, infatti, si è progressivamente affrancato non solo dall’ossessione dell’avanguardia per i parametri e le strutture, ma anche dalle convenzioni della musica minimalista, che all’inizio ha influenzato il suo stile.


Zappa. FZ, Erank Zappa and the Moustache

All Rights Reserved. Used by permission.
John Adams
Guide to strange places per orchestra
Zappa incarna l’anima selvaggia e on the road della post-avanguardia americana, mentre John Adams ne rappresenta il lato più accademico e istituzionale. Come Zappa, Adams si è trasferito dalla costa occidentale a quella orientale, che in senso metaforico significa anche distaccarsi dalle radici culturali europee, solo che il suo viaggio non si è dipanato nei caotici meandri della controcultura giovanile degli anni Sessanta ma è partito dall’Università di Harvard per arrivare prima al Conservatorio di San Francisco e poi alla San Francisco Symphony Orchestra, dove è stato composer in residence dal 1979 al 1985. In altre parole, Adams è un compositore nel senso tradizionale del termine, sebbene la sua musica non sia per nulla tradizionale né convenzionale. Il suo linguaggio, infatti, si è progressivamente affrancato non solo dall’ossessione dell’avanguardia per i parametri e le strutture, ma anche dalle convenzioni della musica minimalista, che all’inizio ha influenzato il suo stile.
Il successo planetario del suo teatro musicale, a partire da Nixon in China del 1985 scritto in collaborazione con la poetessa Alice Goodman e il regista Peter Sellars, non ha impedito ad Adams di sviluppare la ricerca di nuovi mezzi espressivi anche nel campo della musica strumentale, e in particolare della scrittura orchestrale, con partiture di ampio respiro concentrate nell’ultimo scorcio del secolo scorso e nei primi anni del Duemila
Guide to Strange Places è una di queste, commissionata dall’Orchestra della Radio Olandese, dalla BBC Symphony Orchestra e dalla Sidney Symphony Orchestra, e diretta per la prima volta ad Amsterdam dall’autore il 6 ottobre 2001, a un mese dall’attentato delle Torri Gemelle. Adams racconta di essersi ispirato a un libro trovato per caso durante una vacanza nel sud della Francia con la famiglia, la Guide noir de la Provence mystérieuse, dove in mezzo a dettagliate descrizioni di luoghi dove erano avvenuti fatti macabri o soprannaturali si trovavano indicazioni di paysages insolites. L’idea dei paesaggi insoliti ha acceso la fantasia di Adams, che spesso ha tratto spunto per i suoi lavori da immagini legate a situazioni di viaggio, come la poderosa struttura architettonica del Golden Gate di San Francisco per Harmonielehre del 1984 o le usanze della setta quacchera degli Shakers per Shakers Loop del 1982.
I luoghi insoliti di questa Francia pittoresca hanno suggerito ad Adams un lavoro pieno di vigore, un viaggio musicale che scorre come una pellicola cinematografica tra ritmi frenetici e crescendi vertiginosi, tra luci radenti ed esplosioni di colore
Per certi versi, pur partendo da premesse lontanissime, Adams si avvicina alla scrittura temporalmente fluida di Grisey, ma con uno stile più astratto che informale. I contorni del suono, infatti, non si slabbrano come nella musica del compositore francese ma mantengono una sorta di polifonia timbrica e armonica riconoscibile. Lo stile orchestrale di Adams, che all’inizio era più concentrato su lenti processi di trasformazione dell’armonia nel solco dei maestri del minimalismo come Steve Reich e Philip Glass, negli anni Novanta rimette al centro il contrappunto e la polifonia, recuperando con la Chamber Symphony del 1992 la figura di Schönberg. La musica di Adams resta, tuttavia, un’arte del colore, rifuggendo da un’idea tematica attorno alla quale far ruotare ogni altro parametro della composizione. La melodia c’è ma non si sente, dal momento che l’orchestra avviluppa linee su linee impossibili da decifrare singolarmente.
Oreste Bossini
I biglietti per il concerto di Rai NuovaMusica del 27 marzo sono disponibili anche online
Oreste Bossini
I biglietti per il concerto di Rai NuovaMusica del 27 marzo sono disponibili anche online