Alpi 2021: la prima tappa
Ecrins e Monte Bianco: uno spettacolo glaciale perso per sempre
6 – 9 agosto 2021
Finalmente si parte! Direzione Ailfroide in Francia. Come prima tappa della spedizione visiteremo il Massiccio degli Écrins dove si trova la Barre des Écrins, l’unico 4000 di questo gruppo montuoso ed anche il più occidentale e meridionale delle Alpi. Conoscevo già la zona grazie ad una vacanza con la mia famiglia e un gruppo di amici nel 2012 quando le mie figlie Miriam e Lara avevano pochi anni. Prima di passare il confine attraversiamo la bellissima e selvaggia Val di Susa per poi passare nella valle di Briançon altrettanto bella paesaggisticamente ma molto più antropizzata. Su questo massiccio fotograferemo e monitoreremo i ghiacciai Blanc e Noir, così chiamati per le loro caratteristiche. Il Blanc infatti è un ghiacciaio quasi privo di detriti rocciosi mentre il Noir si chiama così proprio perché trovandosi in una posizione più incassata fra pareti rocciose e verticali è quasi completamente invisibile al di sotto di una coltre di detriti depositati da frane e valanghe.
Il giorno successivo con Matteo Trevisan e Dario Alaimo, i due collaboratori che mi accompagnano in questo primo tratto di spedizione, siamo subito in cammino verso la fronte del Glacier Blanc, il più esteso del massiccio. Dopo solo un’oretta lungo la salita riesco a ripetere uno scatto di fine ‘800 della fronte del vicino Glacier Noir con la sua lunga e caratteristica morena alla sua sinistra idrografica. Una mezz’ora più tardi, nonostante alcune difficoltà nel ritrovamento dell’esatta posizione di scatto, riesco finalmente a riprendere la fronte del Glacier Blanc. Entrambi i ghiacciai hanno avuto un ritiro importante, il gestore del rifugio Glacier Blanc, nostra meta di giornata, ci racconta infatti che i due ghiacciai prima del 1853 erano uniti nel fondo valle a meno di 2000 m di quota. Al rifugio incontriamo come da programma i ricercatori Roberto Ambrosini, Francesca Pittino, Davide Fugazza e Barbara Valle che hanno in programma diversi rilievi e campionamenti per studi di ecologia glaciale.
Il giorno seguente ci svegliamo all’alba per cercare due importanti postazioni fotografiche utilizzate da Vittorio Sella nel 1883 per fotografare il Monte Pelvoux e la Barre des Écrins. Dopo aver trovato la corretta postazione e ripetuto il primo scatto, troviamo facilmente anche la seconda ma dobbiamo attendere alcune ore prima di poter ripetere l’immagine con la medesima illuminazione di allora. Il bacino di accumulo del ghiacciaio, ovvero la porzione pianeggiante più elevata, dove la neve solo nelle annate peggiori scompare in piena estate, è cambiato drasticamente. In 138 anni la superfice del ghiacciaio si è abbassata di almeno 50 metri e tutti gli imponenti seracchi, degli enormi blocchi di ghiaccio alti come dei palazzi, ritratti nella fotografia storica, ora sono completamente spariti aprendo la vista sulle creste montuose a destra della Barre des Écrins.
Nel pomeriggio raggiungiamo Roberto e la sua collega Francesca per seguire e documentare i campionamenti che stanno effettuando sul ghiacciaio per poi tornare a valle dopo un dislivello complessivo di quasi 2000 metri.
Il giorno successivo ritroviamo due postazioni dal fondo valle da cui il fotografo francese Henri Ferrand scattò due fotografie delle fronti dei ghiacciai Blanc e Noir.
10 – 13 agosto 2021
Siamo già al 10 agosto e nel trasferirci sul Massiccio del Monte Bianco ci fermiamo nel paesino La Grave da cui ripetiamo un paio di antiche lastre di fine 800 ritrovate presso l’istituto Cessole di Nizza che ritraggono il dirupato versante nord de La Meije. Lo splendore dello scintillante ghiacciaio che si stacca da questa magnifica vetta che sfiora i 4000 m di quota nel Massiccio degli Écrins è svanito mentre ora i ripidi pendii poco a monte del centro abitato si sono trasformati in placche rocciose e ghiaioni brulli e detritici.
La mattina successiva siamo a Chamonix, cuore del massiccio del Monte Bianco francese. La meteo continua ad assisterci, pertanto, approfittiamo per salire subito allo storico punto panoramico di Montevers con il caratteristico trenino rosso a cremagliera per cercare i punti fotografici delle tante immagini storiche di uno dei ghiacciai più iconici delle Alpi, la Mer de Glace. Non visitavo questa zona dal 1999 quando ci venni con il regista Gino Cammarota per realizzare un documentario per Geo&Geo, la lingua glaciale ora fa veramente impressione per le sue misere condizioni, depressa nel fondo valle e ricoperta completamente dal detrito roccioso. Se poi lo si confronta con le immagini di oltre un secolo fa che avevo in mano sembrava quasi di vedere un altro luogo. Passeggiare fra i turisti mi ha fatto riflettere il commento di una donna che parlando con il marito ha detto “ma la Mer de Glace non esiste più, è diventato un mare di rocce”. Effettivamente, una volta ritrovati gli stessi luoghi di scatto delle immagini storiche ci si rende conto quanto il paesaggio sia mutato drasticamente a causa del riscaldamento globale, la lingua glaciale ormai arretrata di quasi tre chilometri si è affossata nel fondo della valle e coperta di detriti rocciosi. Lo spettacolo di allora si è perso per sempre.
Scesi a valle ci beviamo una birra con il Prof. Philip Deline, dell’Université Savoie Mont Blanc, che ci ha gentilmente accompagnato durante l’escursione e lo salutiamo dato che dovrà raggiungere la moglie a Courmayeur.
Il giorno successivo con la funivia saliamo sulla Aiguille du Midi (3848 metri), che si traduce letteralmente "Ago di mezzogiorno", poiché guardando la montagna da Chamonix, a quell'ora, il sole si trova direttamente sopra la sua vetta. Da questa guglia il colpo d’occhio sulla vetta del Monte Bianco è fra i più spettacolari ed emozionanti delle Alpi. Ci troviamo qui perché nel 1883 Vittorio Sella, dopo una lunga ed impegnativa salita a piedi da Chamonix, aveva immortalato il Monte Bianco regalando alla storia uno degli scatti più affascinanti della sua lunga carriera. Ripetute le tre immagini per comporre la panoramica originale, scendiamo con Dario lungo l’affilata cresta di neve che porta alla Vallée Blanche da cui ritroviamo un punto di scatto di un’altra immagine di Sella che ritrae proprio la Aiguille du Midi al tempo scolpita solo dagli agenti atmosferici. Infatti, a partire dal 1955, l’enorme sperone roccioso è stato completamente trasformato per ospitare le tante infrastrutture turistiche legate alla funivia.
La mattina del 12 agosto saliamo, sempre con l’aiuto delle funivie, alla Brevent, vetta che si trova a monte di Chamonix ma sul versante opposto rispetto al massiccio del Monte Bianco. Il capo stazione della funivia, dopo averci chiesto quali erano le nostre finalità, ci da il permesso di salire sopra il tetto della Cabane du Brevent e riuscire a ripetere una fotografia panoramica di inizio ‘900 dell’intera valle di Chamonix proveniente dall’archivio di Agostino Ferrari. Al tempo i ghiacciai dell’Argentiere, la Mer de Glacie e il Bosson arrivavano ancora a lambire il fondovalle.
Prima di trasferirci in Svizzera, saliamo con Dario verso “Le Chapeau”, un ristoro da dove a fine ‘800 si poteva osservare la fronte del ghiacciaio “Des Bois” come veniva chiamato al tempo questo tratto inferiore della Mer de Glace che oggi non esiste più visto che arrivava nel fondo valle fino a toccare le prime case di Chamonix. In questo caso è stato ancora più complicato ottenere le stesse inquadrature di allora per via della ripopolazione dei larici su entrambi i versanti della valle che ormai coprono quasi del tutto la visuale.
Il paesaggio imponente e severo di queste grandi montagne, ormai ferito dagli effetti dei cambiamenti climatici, stride ancor di più per la quantità di turisti che si riversano in pochi punti panoramici raggiungibili grazie alla rete capillare di funivie e vie ferrate che dal secolo scorso hanno permesso un approccio veloce ma spesso frettoloso e superficiale a questi ambienti. In questi casi la cosa che mi rattrista di più è vedere le persone scendere dalle diverse infrastrutture e farsi subito un selfie senza neanche guardare il maestoso paesaggio alle loro spalle. La poca attenzione a ciò che ci circonda e ai suoi mutamenti mi motiva ancora di più nel portare avanti questo progetto, nella speranza di sensibilizzare verso una più profonda cultura dell’ambiente.