Alle ore 9 del 28 ottobre del 1922, il capo del governo Luigi Facta si reca al palazzo del Quirinale con un documento per il re Vittorio Emanuele III. E’ la dichiarazione dello stato d’assedio, che permetterebbe all’esercito italiano, schierato in assetto di guerra alle porte della capitale, di disarmare, se necessario con la forza, le squadracce fasciste pronte a marciare sulla capitale, in quello che appare sempre più un colpo di stato mascherato da manifestazione popolare. Il rifiuto del Re spiana la strada ai fascisti. Vittorio Emanuele III è preoccupato dal possibile scoppio di sanguinosi scontri, e ansioso di porre un argine alla crescita del movimento socialista e al partito Popolare, che se pure di ispirazione cristiana, viene guardato con sospetto dai più alti vertici dello stato e perfino della Chiesa. I fascisti hanno già dato dimostrazione di straordinaria efficienza criminale. Dopo il modesto risultato elettorale del 1919, i fascisti diventano il braccio armato degli imprenditori industriali e agrari. Si susseguono assalti alle camere del lavoro e ai circoli socialisti. Le squadracce fasciste, grazie alla numerosa presenza di ex combattenti nelle loro fila, colpiscono e uccidono senza remore. Nel solo 1920 vengono assassinati 172 socialisti e feriti 578. I morti tra i fascisti sono solo quattro. Il governo centrale, le forze dell’ordine, esattamente come avverrà per la marcia su Roma, lasciano fare. Numerose amministrazioni locali di sinistra sono costrette a dimettersi a seguito delle minacce e delle intimidazioni fasciste. Dopo le elezioni del 1921 e l’ingresso alla Camera di una trentina di deputati fascisti, la violenza entra perfino in Parlamento, con numerose aggressioni a deputati socialisti. Nei giorni immediatamente precedenti la “marcia”, i quadri del partito fascista e qualche migliaio di simpatizzanti sono a Napoli per il congresso nazionale. Arringando la folla riunita a piazza Plebiscito, Mussolini dichiara “o ci daranno il governo o ce lo piglieremo noi calando su Roma”. Poi il Duce parte e fa ritorno a Milano in attesa degli eventi. E gli eventi non si fanno attendere. Viene scelta Perugia come luogo per coordinare le varie colonne di fascisti. A capo dell’organizzazione sono Emilio De Bono. Italo Balbo, Cesare De Vecchi e Michele Bianchi. La maggior parte delle squadre si concentrano nei nodi ferroviari di Tivoli, Foligno, Civitavecchia e Monterotondo. Il primo ministro Facta, allarmato dalle segnalazioni che giungono nella capitale, corre ai ripari e delibera lo stato d’assedio. Il giorno seguente, sabato 28 ottobre, i militari di stanza a Roma, più numerosi e meglio equipaggiati delle camice nere, scendono per le strade pronti ad affrontare gli squadristi. Reparti dell’esercito intercettano e fermano i treni delle camicie nere e i reparti del genio divelgono i binari per arrestarne il percorso. I giornali escono al mattino con la notizia dello stato d’assedio. Per i fascisti sembra finita. Poi accade l’impensabile. Nel corso della mattinata Facta si reca al Quirinale per la necessaria controfirma reale alla delibera dello stato d’assedio, ma il re si rifiuta. Vittorio Emanuele III sostiene che si è andati troppo avanti e che si rischia un bagno di sangue. In realtà dubita della fedeltà dell’esercito e teme che una eventuale prova di forza gli si possa ritorcere contro. Su tutto si stende l’ombra del cugino del re, il Duca d’Aosta, popolarissimo nell’esercito e di dichiarate simpatie fasciste. Vittorio Emanuele III, che teme di essere detronizzato, cede. Facta si dimette Nel pomeriggio le prime colonne di camice nere entrano a Roma sotto gli sguardi attoniti dei soldati che hanno ricevuto l’ordine di farli passare. La “marcia” dura tre giorni, nei quali si registrano numerosi scontri e diversi morti. Dopo un tentativo andato a vuoto di Antonio Salandra, il 30 ottobre il re affida l’incarico di formare un nuovo governo a Benito Mussolini. Il giorno seguente i fascisti sfilano all’Altare della Patria e al Quirinale. E’ una milizia di privati cittadini che detiene armi in maniera illegale. Per questo, nel dicembre del 1922, la milizia fascista viene istituzionalizzata tramite la creazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, e posta sotto il comando del governo, in spregio alla norma dello Statuto Albertino che prevede il controllo del re su tutte le forze armate. Inizia così la parabola ventennale del fascismo. Inizia con un colpo di stato che scavalca la legalità statutaria e proseguirà con intimidazioni, pestaggi e omicidi, fino alla totale eliminazione di qualsiasi opposizione, con il tacito accordo della monarchia.
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