Vittorio Occorsio, il coraggio di andare avanti

Diario Civile

10 luglio del 1976. In via Mogadiscio, nel quartiere africano di Roma, Vittorio Occorsio viene crivellato da trenta colpi di arma da fuoco.

A ucciderlo il neo fascista di Ordine nuovo Pierluigi Concutelli. Rai Cultura ripercorre la vita e le vicende professionali del magistrato – il primo a intuire le trame eversive di alcuni movimenti politici di estrema destra - nel documentario Vittorio Occorsio, il coraggio di andare avanti, di Massimo Favia, per il ciclo Diario Civile, con un’introduzione dell'ex Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti.

Il racconto si muove nel contesto di un’Italia messa sotto scacco dai movimenti extra parlamentari, insoddisfatti delle politiche conservatrici democristiane. Occorsio inizia la carriera di magistrato a 28 anni, nel 1957. Sette anni dopo diventa sostituto Procuratore a Roma ed è assegnato alla sezione reati di diffamazione mezzo stampa.  

L’11 maggio 1967, sul settimanale L’Espresso guidato da Eugenio Scalfari, viene pubblicato il primo articolo di una delicata inchiesta - firmata da Lino Iannuzzi - secondo cui, tra la fine di giugno e gli inizi di luglio 1964, l’allora capo del Sifar, De Lorenzo, avrebbe tentato un colpo di Stato, il cosiddetto Piano Solo. Vittorio Occorsio, dopo un’accurata indagine, chiede l’assoluzione per i giornalisti e mette in stato d’accusa il generale De Lorenzo.

Ma la Corte non è d’accordo. Occorsio perde la sua prima battaglia, ma la storia gli darà ragione. Due anni dopo, nel 1969, il magistrato si occupa della strage di piazza Fontana. Dall’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno arrivano indicazioni chiare sulla matrice anarchica dell’attentato.

Viene arrestato Pietro Valpreda. Il suo riconoscimento diventa un caso politico, mentre Occorsio per tutti è un nemico degli anarchici, un fascista. In realtà, nella sua requisitoria del 1970, il magistrato inizia a puntare l’attenzione su esponenti neofascisti come Mario Merlino e Stefano delle Chiaie.

Nel 1972 il processo viene spostato a Milano per competenza territoriale e Occorsio esce di scena, ma ai colleghi milanesi farà capire di essere stato fuorviato e che la pista da seguire è quella neofascista.

Intanto il magistrato romano inizia a indagare su Ordine Nuovo, nato come centro studi con Pino Rauti, divenuto movimento politico nel 1969 con Clemente Graziani. E, nel 1973, mette Ordine Nuovo alla sbarra per ricostituzione del partito fascista. Qualche giorno dopo Paolo Emilio Taviani, all’epoca Ministro dell’Interno, fa sciogliere il partito applicando per la prima volta la legge Scelba. Occorsio vince.

Ma i neofascisti continuano a organizzarsi in clandestinità. Il magistrato non si occupa solo di eversione nera. Nel 1975 a Roma dilaga il clan dei marsigliesi. Bergamelli, Berenger e Bellicini, i tre capi della banda criminale, si finanziano con sequestri eccellenti che fruttano miliardi di lire: il gioielliere Gianni Bulgari, il re del caffè Alfredo Danesi, e Amedeo Ortolani, figlio del presidente della Voxon.

È a questo punto che Occorsio ha una grande intuizione. Dietro i sequestri c’è una loggia massonica segreta, la Propaganda due di Licio Gelli.

Allora ancora un perfetto sconosciuto. Il magistrato romano allarga le indagini per cercare un collegamento tra i soldi dei sequestri e il finanziamento dell’eversione nera. Sono supposizioni pesanti che raccontano un piano strategico voluto da molto in alto per fomentare la strategia della tensione.

Vittorio Occorsio inizia a scrivere una nuova requisitoria che potrebbe davvero mettere in luce tutto quello che nessuno aveva mai capito prima. Ma viene fermato quella mattina del dieci luglio 1976.