I soldati italiani in Russia
Una disfatta annunciata
Il 21 giugno 1941 nel pieno del conflitto mondiale Hitler decide di sferrare l’attacco alla Russia: scatta l’operazione Barbarossa. I vertici militari tedeschi sono convinti di chiudere la questione al massimo in cinque settimane. Mussolini è convinto dell’importanza e della buona riuscita dell’operazione e soprattutto ritiene fondamentale essere al fianco del proprio alleato per condividere le conquiste annunciate. Nel luglio 1941 costituisce il Corpo di spedizione italiano in Russia (Csir). A questo un anno dopo, nel 1942, subentrerà un nuovo corpo di spedizione: l’Armata italiana in Russia (Armir), stanziata sul medio Don e che viene coinvolta nel drammatico tentativo di resistenza alla controffensiva sovietica. Il 16 dicembre 1942 l’Armata italiana subisce una delle più gravi sconfitte dell’esercito italiano nella Seconda Guerra Mondiale: vengono fatti prigionieri dai russi più di 640000 soldati, costretti a raggiungere a piedi nella neve i campi prigionia.
Chi non riesce a rimanere al passo viene ucciso: si rivela una carneficina. Tra il 1945 e il 1946 torneranno in Italia dei 640000 solo circa 10000. Rispetto a tutte le altre campagne della Seconda Guerra mondiale quella del fronte orientale è ancora oggi ricordata per le sofferenza a cui sono stati sottoposti i soldati: non equipaggiati, a corto di munizioni e non pronti a quel tipo per affrontare le avversità del freddo sovietico. Mario Rigoni Stern, alpino sopravvissuto alla ritirata e autore dell’avvincente libro Il Sergente nella neve, scrive: “Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don”.
“Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don"
Chi non riesce a rimanere al passo viene ucciso: si rivela una carneficina. Tra il 1945 e il 1946 torneranno in Italia dei 640000 solo circa 10000. Rispetto a tutte le altre campagne della Seconda Guerra mondiale quella del fronte orientale è ancora oggi ricordata per le sofferenza a cui sono stati sottoposti i soldati: non equipaggiati, a corto di munizioni e non pronti a quel tipo per affrontare le avversità del freddo sovietico. Mario Rigoni Stern, alpino sopravvissuto alla ritirata e autore dell’avvincente libro Il Sergente nella neve, scrive: “Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don”.