Martin Luther King nasce ad Atlanta, in Georgia, il 15 gennaio 1929, il padre reverendo battista e la madre insegnante. La sua infanzia è caratterizzata dalle discriminazioni razziali che sono all’ordine del giorno nel Sud degli Stati Uniti. Viene ordinato pastore nel 1947, diventando da subito un elemento molto attivo della National Association for the advancement of colored people. Trasferitosi a Montgomery in Alabama, cuore delle problematiche razziali, nel 1955 è tra i principali organizzatori dello sciopero dei mezzi pubblici. La protesta, successiva a quella pacifica di Rosa Parks che si era rifiutata di lasciare il posto ad un bianco sull’autobus, dura quasi un anno. Gli organizzatori riescono ad ottenere la fine della segregazione razziale sui bus cittadini e Martin Luther King comincia ad essere conosciuto a livello nazionale. Si susseguono intimidazioni, arresti, minacce, ma lui continua la sua opera e fonda insieme ad altri la Southern Christian Leadership Conference, di cui diventa quasi subito presidente. Si tratta di un’organizzazione non violenta per coordinare l’intero movimento di lotta per i diritti dei neri. King crede fermamente nell’importanza di un’azione omogenea e compatta delle comunità religiose delle varie città, attraverso la strategia della non violenza e della disobbedienza civile. Gli obiettivi di lotta sono tanti: dall’abolizione delle leggi locali per la segregazione razziale al diritto di voto per gli afroamericani. Seguono anni di manifestazioni e sit-in pacifici, fino alla celebre manifestazione di Washington a cui prendono parte più di 250.000 persone. In questa occasione il pastore nero tiene il celebre discorso “I have a dream” che passerà alla storia come inno di pace e di non violenza. Nel 1964 il presidente Johnson firma il Civil Rights Act dichiarando illegali la segregazione e la discriminazione razziale negli Stati Uniti e arriva per Martin Luther King anche il definitivo riconoscimento internazionale: il premio Nobel per la pace. Il 3 aprile 1968 prende parte a Memphis ad una manifestazione a favore delle condizioni di lavoro dei netturbini della città. Il giorno seguente, il 4 aprile, mentre prepara un nuovo evento in programma per lo sciopero, viene colpito a morte con un colpo di fucile sparato da un fanatico razzista. L’America e tutto il mondo si fermano davanti a questo efferato omicidio, che non cancella però l’importante eredità di pace e non violenza lasciata dal pastore nella lotta alla discriminazione razziale. Il suo ultimo discorso del 3 aprile 1968 rappresenta senza volerlo una sorta di profezia e di testamento spirituale: “Bene non so ora che cosa accadrà. Abbiamo dei giorni difficili davanti a noi. Ma ora non importa. Perché sono stato sulla cima della montagna. E non mi interessa […] Voglio solo fare il volere di Dio. E Dio mi ha permesso di salire sulla montagna. E di là ho guardato. E Ho visto la Terra Promessa. Forse non ci arriverò insieme a voi. Ma voglio che questa sera voi sappiate che noi, come popolo, arriveremo alla Terra Promessa. E questa sera sono felice. Non ho paura di nulla. Non ho paura di alcun uomo”.