4 novembre 1966, il fiume Arno che attraversa la città di Firenze dopo diversi giorni di intensa pioggia, straripa poco prima delle cinque della mattina, lasciando presagire una drammatica giornata. Inizialmente in città si cominciano ad allagare cantine e garage e si verificano numerose frane. Successivamente a causa dell’eccessiva forza e pressione dell’acqua, le fogne e i depositi di carburante presenti iniziano ad esplodere, la terra diventa un liquame mescolato di nafta e sterco che macera e corrompe qualsiasi cosa bagni. Poi lentamente il fiume invade il centro storico. Anche altri comuni intorno alla città cominciano ad allagarsi. Alle 21e42 l’Ansa diffonde il seguente bilancio: “Firenze è un immenso lago immerso nelle tenebre, di acque limacciose che si estendono per oltre sei chilometri quadrati nei quartieri a nord dell’Arno e in un’area imprecisata nei quartieri a sud del fiume. L’inondazione interessa due terzi della città”. Si tratta della più grande alluvione a Firenze mai avvenuta, l’intera città rimane senza acqua, gas, energia elettrica, rete telefonica. In alcune zone l’acqua raggiunge i cinque metri. In tutta la Toscana i morti saranno 35, di cui 17 solo nel capoluogo fiorentino. Oltre agli ingenti danni in giro per la città, anche il patrimonio artistico e culturale è profondamente colpito: i magazzini del museo degli Uffizi, la biblioteca Nazionale Centrale, la chiesa di Santa Croce, l’Accademia dei Gergofili. Manoscritti, documenti, dipinti, libri, rovinati dal fango. Una volta finita la pioggia, sulla città si distende una coltre di melma di circa cinquecentomila metri cubi, che raccoglie detriti e oggetti di ogni genere. I fiorentini, si riversano in strada, bardati con ogni genere di indumento che possa proteggerli dal fango: gli uomini con baschi o berretti, le donne con i fazzoletti in testa e tutti con giacche a vento, tute sportive, tute da officina, abbigliamento da sci, impermeabili con cinghie di cuoio, sacchi infilati a dosso e guanti per proteggersi le mani. Faticosamente riescono con diversi giorni di lavoro a ripulire le strade della città dal fango, ritrovandosi poi davanti il difficile lavoro da fare nelle cantine pesantemente allagate e piene di melma infetta. L’opinione pubblica è fortemente scossa da questo evento e nei giorni successivi parte una vera e propria gara di solidarietà, con volontari che lentamente giungono da tutta Italia e non solo per cercare di aiutare la popolazione e salvare il patrimonio danneggiato. In tutto il mondo sorgono comitati a favore della città, il senatore Ted Kennedy, negli Stati Uniti, fa un appello pubblico per Firenze. Così scrive il sindaco fiorentino di allora Piero Bargellini per raccontare questo coinvolgimento totale: “Si ebbe subito la riprova di cosa Firenze fosse e rappresentasse. Firenze ha bisogno del mondo come il mondo ha bisogno di Firenze. Con questo motto avvenne la mobilitazione di tutto il mondo civile, specialmente per il salvamento delle opere d’arte danneggiate o minacciate”. Un esercito di giovani e meno giovani, mescolato ai fiorentini, si presenta in strada, passandosi i secchi pieni di melma. Alla Biblioteca Nazionale Centrale si formano delle vere e proprie catene umane di persone che si passano libri tirati fuori dal fango e salvati dalla rovina. Tutti i volontari vengono ribattezzati gli “Angeli del fango”. La sera si radunano davanti a grandi falò per riposarsi, dormono per terra dove possibile e all’alba ricominciano a lavorare. Si tratterranno in città fino ad aprile. Una tragica alluvione che ancora oggi si ricorda, insieme però alla grande ripresa successiva, passata alla storia come "miracolo di Firenze".