Quando alla fine degli anni ‘60 sui muri di New York compare la scritta «Julio 204» nessuno immagina che quello sia l'avvio di un fenomeno di vasta portata sociale. Ben presto si aggiunge un'altra firma, «Taki 183», e poi, in rapida sequenza sarà un susseguirsi di migliaia di logo dipinti a mano ovunque.
I writers e i graffittisti partirono dai quartieri neri di Harlem del Lower East Village, spesso in piccoli gruppi, muniti di pennelli e bombolette spray usando i muri e i vagoni della metropolitana come arena pubblica per lasciare un loro segno spontaneo e effimero – perché spesso capitava che un gruppo rivale di writers ricoprisse i segni degli altri con i propri. Il fenomeno esplode in maniera dirompente tanto da essere percepito da istituzioni e opinione pubblica come una pericolosa minaccia da combattere.
Nel 1972 il sindaco di New York Lindsay dichiara al New York Times che «questa esplosione insensata dei graffiti è legata a problemi di salute mentale», e emana la prima legge anti graffiti e forma una task force della polizia dedicata alla repressione del fenomeno.
Eppure non tutti vedono nel graffitismo una piaga. Il New York Magazine, per esempio, scrive che «Il movimento dei graffiti [...] è l’annuncio della prima vera cultura dei ragazzi di strada, dopo gli anni ‘50».
Lo scrittore italiano Goffredo Parise, in uno dei suoi reportage da New York alla fine degli anni ’70, scrive dei giovani writers: “Ho provato molta invidia e ammirazione per loro e ho rimpianto di avere l’età che ho, ma se potessi mi unirei a loro così come non mi sarei unito, anche avendo l’età, con i ragazzi francesi del ’68:”
Oggi la percezione della Street Art è cambiato radicalmente, e in molte città il territorio urbanistico accoglie le opere realizzati da Street artists, giovani che spesso si sono formati nelle accademie d’arte. Capita così sempre più spesso che l’artista di strada venga invitato a lavorare su commissione in uno spazio urbano.
Mezzo di protesta, elemento di riflessione o di riqualificazione visiva urbana, la Street Art si diffonde in Italia e arriva anche in luoghi inattesi del nostro paese.
Napoli negli ultimi anni sta diventando sempre più ricca di opere di Street Art realizzate da artisti provenienti da tutto il mondo. Persino Banksy, il fantomatico e più famoso, è passato al centro per lasciarvi un segno con un’opera che raffigura La Madonna con la pistola, realizzata accanto a una edicola votiva dedicata alla Vergine col Bambino. Sopra la testa della sua Madonna, al posto della classica aureola, Banksy ha dipinto una pistola, riferendosi a tristi fatti di cronaca della città, caratteristica rincorrente nelle sue opere in cui sottilmente denuncia squilibri sociali del presente.
Oggi alcuni tra graffitisti e street artists non si limitano a dipingere nello spazio pubblico, ma realizzano anche opere sul più classico supporto della tela o dei multipli su carta.
All’inizio di ottobre 2019 il dipinto
Developed Parliament, una grande tela di Banksy che raffigura la camera dei comuni di Westminster, sede del parlamento britannico, con degli scimpanzé al posto dei deputati, è stata venduta all’asta a Londra per la cifra record di 11,1 milioni di euro.
Continuo a dipingere graffiti perché penso sinceramente che il bordo di un canale sia un posto più interessante per l’arte che un museo.
Banksy